IL COLLEGIO ARBITRALE 
 
    composto dai signori: 
        dott. Giuseppe Rebecca, Presidente; 
        avv. Roberto Roberti, componente; 
        avv. Claudio Solinas, componente; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza nella procedura di arbitrato
rituale  instaurata  tra  Officine  Meccaniche   ANI   S.p.a.   (C.F.
00152030243), con sede legale  in  Chiampo,  via  Arzignano  190,  in
persona  del  legale  rappresentante  pro  tempore  signora   Taglier
Mariangela, assistita e rappresentata dall'avv. Elena Schiavon  (C.F.
SCHLNE67H53L840W),  con  domicilio   eletto   in   Vicenza,   Contra'
Muschieria  n.  26,  pec:  elena.schiavon@ordineavvocativicenza.it  e
Consorzio  Energia  Assindustria  Vicenza  -   Energindustria   (C.F.
02785440245), con sede legale  in  Vicenza,  Piazza  Castello  3,  in
persona del legale rappresentante pro tempore dott.  Carlo  Brunetti,
assistito   e   rappresentato   dall'avv.   Claudio   Toniolo   (C.F.
TNLCLD54S20D933C),   pec:    claudio.toniolo@ordineavvocativicenza.it
dall'avv.    Caterina    Basso    (C.F.    BSSCRN71S48L840L),    pec:
caterina.basso@ordineavvocativicenza.it e  dall'avv.  Giulia  Toniolo
(C.F. TNLGLI81P65E970U), pec: giulia.toniolo@ordineavvocativicenza.it
con domicilio eletto in Vicenza,  Contra'  XX  Settembre  n.  37,  in
punto: rimborso  delle  somme  pagate  nell'anno  2011  a  titolo  di
addizionale provinciale all'accisa all'energia elettrica. 
    Il Collegio arbitrale (nominato con atto  di  compromesso  del  6
novembre 2020, costituito nella riunione del  9  novembre  2020,  con
sede presso lo  studio  del  Presidente  dott.  Giuseppe  Rebecca  in
Vicenza,        Contra'        Lodi        n.         31,         pec
giuseppe.rebecca@odcec.vicenza.legalmail.it),       ritenuta       la
controversia in decisione con ordinanza del 12 febbraio 2021,  espone
quanto segue. 
Svolgimento del procedimento arbitrale. 
    La vicenda arbitrale trova origine nella richiesta avanzata dalla
societa'  Officine  Meccaniche  ANI  S.p.a.  al   Consorzio   Energia
Assindustria Vicenza - Energindustria  di  rimborso  dell'addizionale
provinciale all'accisa all'energia elettrica che detto  Consorzio  le
aveva addebitato in fattura nell'anno 2011 per la  somma  complessiva
di euro 16.436,44. 
    Negli anni 2010-2011 il Consorzio Energia Assindustria Vicenza  -
Energindustria aveva  posto  in  essere  una  particolare  iniziativa
consortile di approvvigionamento e  di  vendita  diretta  di  energia
elettrica a favore di un  gruppo  di  consorziati  forti  consumatori
(i.e. Energy  Trading),  tra  i  quali  figurava  anche  la  societa'
Officine Meccaniche ANI S.p.a., e - in forza della  normativa  allora
vigente  -  aveva  applicato  in  fattura  l'addizionale  provinciale
all'accisa all'energia elettrica (Nel periodo a tutto il 31  dicembre
2011, le bollette elettriche per consumi non domestici fino a 200.000
kwh di consumi mensili per punto di prelievo sono  state  gravate  da
una addizionale provinciale all'accisa all'energia elettrica, con una
aliquota variabile da un minimo di euro 9,30 ad un  massimo  di  euro
11,40 su mille Kwh, a seconda delle delibere  provinciali  adottate),
che aveva poi riversata all'Erario. 
    Sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale  costante  della
Corte di cassazione (che a partire dalla decisione n. 27101/2019  del
23 ottobre 2019, ha statuito  che  la  addizionale  provinciale  alle
accise sull'energia elettrica si pone in  contrasto  con  il  diritto
comunitario e pertanto deve essere disapplicata, con  il  conseguente
diritto degli utenti non domestici al recupero  delle  somme  versate
quale indebito oggettivo, nel  termine  prescrizionale  ordinario  di
dieci anni dalla data dei vari pagamenti), con richiesta del 5 agosto
2020 (doc. 2 del proprio fascicolo) la societa'  Officine  Meccaniche
ANI S.p.a. ha intimato al Consorzio il rimborso integrale delle somme
indebitamente versate a titolo di addizionale provinciale alle accise
sull'energia  elettrica  negli  anni  2010  e  2011   per   l'importo
complessivo di euro 16.436,44, o nei  diversi  importi  eventualmente
spettanti, oltre agli interessi di legge maturati e maturandi. 
    Con comunicazione del 7 agosto 2020  (doc.  3  del  fascicolo  di
Officine Meccaniche ANI S.p.a.)  il  Consorzio  Energia  Assindustria
Vicenza - Energindustria respingeva la richiesta di rimborso. 
    Stante l'impossibilita' (per le ragioni in  seguito  evidenziate)
di un accordo bonario, le parti in data 6 novembre  2020  stipulavano
un atto di compromesso per arbitrato,  chiamato  a  decidere  secondo
diritto  con  le  formalita'  proprie  dell'arbitrato  rituale,   che
prevedeva di sottopone al Collegio arbitrale i seguenti quesiti: 
        «Accertare e dichiarare se sussista o meno il  diritto  della
societa' Officine Meccaniche ANI S.p.a. - quale cliente - a  ripetere
dal Consorzio Energia Assindustria Vicenza -  quale  fornitore  -  le
somme corrisposte a  titolo  di  addizionale  provinciale  all'accisa
all'energia  elettrica  e,  in  conseguenza  di  tale   accertamento,
condannare o meno il Consorzio fornitore a rimborsare al  Consorziato
- cliente le  somme  richieste  e  accertate  come  dovute,  con  gli
interessi di legge». 
        «Accertare  o  meno  la  rilevanza   e   la   non   manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
14 decreto legislativo n. 504/1995 con le norme costituzionali di cui
all'art. 41, 3, 24  e  25  della  Costituzione,  con  l'adozione  dei
provvedimenti conseguenti ed inerenti di rigetto  o  di  accoglimento
della istanza presentata». 
    Il Collegio arbitrale, costituito nella riunione del  9  novembre
2020, assegnava termini di difesa alle parti: 
        sino al 2 dicembre 2020, alla  societa'  Officine  Meccaniche
ANI S.p.a., e sino al 23 dicembre 2020 al  Consorzio  Energindustria,
per  il  deposito  di  memorie  contenenti  le  rispettive   domande,
eccezioni e le relative istanze, anche istruttorie, con deposito  dei
documenti che si intendono esibire  al  Collegio,  e  comunque  degli
elementi di cui ai punti 2, 3, 4 e 5 e 6 dell'art. 163 c.p.c.; 
        sino all'11 gennaio 2021 alla  societa'  Officine  Meccaniche
ANI S.p.a., e sino al 25 gennaio 2021  al  Consorzio  Energindustria,
per il deposito di rispettive  ed  eventuali  memorie  di  replica  e
controreplica; 
    fissando per la comparizione delle parti la riunione del giorno 8
febbraio 2021 ad ore 14,30. 
    Nella memoria di costituzione di data 2 dicembre 2020 la societa'
Officine Meccaniche ANI  S.p.a.  ha  chiesto  al  Collegio  arbitrale
l'accoglimento delle seguenti domande: 
        «accertare  e  dichiarare  che   l'art.   6   comma   1   del
decreto-legge n. 511/1988 convertito, con modificazioni, dalla  legge
n. 20/1989 si pone in contrasto con l'art. 3, par. 2 della  direttiva
92/12/CEE,  e  con  l'art.  2008/118/CE,  art.  1,  par.  2   e,   di
conseguenza, deve essere disapplicato»; 
        «in  conseguenza  di   tale   disapplicazione   accertare   e
dichiarare che le somme pagate a  titolo  di  addizionale  all'accisa
all'energia elettrica, in contrasto  con  la  normativa  comunitaria,
costituiscono indebito oggettivo e devono essere rimborsate»; 
        «accertare e dichiarare che  le  somme  pagate  a  titolo  di
addizionale all'accisa all'energia elettrica dalla societa'  Officine
Meccaniche  ANI  S.p.a.   nei   confronti   del   Consorzio   Energia
Assindustria Vicenza ammontano complessivamente in euro  16.436,44  a
titolo di capitale»; 
        «condannare  il  Consorzio  Energia  Assindustria  Vicenza  -
Energindustria a corrispondere alla societa' Officine Meccaniche  ANI
S.p.a. la somma di euro 16.438,47  pagata  a  titolo  di  addizionale
all'accisa  all'energia  elettrica  oltre  agli  ulteriori  interessi
maturati dai singoli pagamenti sino al saldo»; 
        «con rifusione delle spese di procedura e oneri di  difesa  a
favore della societa' Officine Meccaniche ANI S.p.a.». 
    Nella memoria  di  costituzione  di  data  23  dicembre  2020  il
Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria  ha  dedotto,
tra l'altro: 
        che l'art. 14 decreto  legislativo  n.  504/1995  stabilisce:
«Qualora, al termine di un procedimento giurisdizionale, il  soggetto
obbligato al pagamento dell'accisa sia condannato alla restituzione a
terzi  di  somme  indebitamente  percepite  a   titolo   di   rivalsa
dell'accisa,  il  rimborso  e'  richiesto   dal   predetto   soggetto
obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in
giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme»; 
        che «l'art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 pone a  carico
del Consorzio un onere finanziario complessivo insostenibile  a  mera
tutela dei soli interessi dell'Erario: 
          oltre quattro milioni e mezzo  di  euro,  se  valutato  nei
confronti di tutti i potenziali creditori; 
          oltre un milione e  mezzo  di  euro,  di  debito  certo  ed
attuale, se valutato nei confronti dei clienti che  hanno  interrotto
il termine prescrizionale  con  la  presentazione  delle  istanze  di
rimborso e che stanno minacciando in concorso le azioni giudiziarie; 
          centinaia di migliaia di euro, per  spese  giudiziali  alle
quali il Consorzio non puo' sottrarsi»; 
        che  gli  oneri  imposti  a  mera  tutela   degli   interessi
dell'Erario ledono il  proprio  diritto  alla  liberta'  di  impresa,
previsti dagli articoli 16 (i.e. Liberta' di  impresa)  e  52,  primo
comma (i.e. Portata dei diritti garantiti) della  Carta  dei  Diritti
Fondamentali  dell'Unione  europea,  perche'   «non   rispettano   il
contenuto essenziale» di tale diritto  e  priva  il  Consorzio  delle
risorse  finanziarie  necessarie  alla  sua  esistenza  e  alla   sua
attivita', con un forte rischio di insolvenza e di estinzione; 
        che l'art. 14 decreto legislativo n.  504/1995,  si  pone  in
contrasto non solo con la Carta dei Diritti Fondamentali  dell'Unione
europea, ma anche con gli articoli 3 e 41 della Costituzione; 
        che, in particolare,  la  norma  si  manifesta  irragionevole
(art. 3) perche' impone all'attivita' di impresa  oneri  arbitrari  e
misure palesemente incongrui e non proporzionali, atti a condizionare
le scelte imprenditoriali  in  grado  cosi'  elevato  da  indurre  la
funzionalizzazione  dell'attivita'   economica,   sacrificandone   le
opzioni di fondo,  restringendone  in  rigidi  confini  lo  spazio  e
l'oggetto delle scelte organizzative (art. 41); 
        che, oltretutto, anche qualora ritenesse fondata la richiesta
di rimborso avanzata dai propri  consorziati  in  quanto  imposizione
fiscale illegittima e come  tale  abrogata,  il  Consorzio  non  puo'
aderire spontaneamente alla richiesta di rimborso, ma ha  l'onere  di
essere parte in un  procedimento  giurisdizionale  di  condanna  alla
restituzione delle somme percepite a titolo di accisa (o  addizionale
all'accisa) che e' imposto come necessario per poter  far  valere  il
suo diritto al  successivo  rimborso  da  parte  dell'amministrazione
finanziaria; 
        che per effetto di  tale  norma,  non  potendo  il  fornitore
adempiere all'obbligo restitutorio di  propria  iniziativa  (pena  la
perdita del diritto al rimborso nei confronti dell'Erario) il cliente
si trova obbligato a radicare un procedimento  giurisdizionale  e  il
venditore ha l'onere di attendere la definitivita' della sentenza  di
condanna;  una  spontanea  restituzione   dell'accisa   indebitamente
riscossa o una definizione transattiva non consentono al venditore di
ottenere dall'Erario il rimborso di quanto eventualmente restituito. 
    Il Consorzio Energia Assindustria  Vicenza  -  Energindustria  ha
quindi  richiesto  al  Collegio  di   sollevare   la   questione   di
incostituzionalita' dell'art. 14 decreto legislativo n.  504/1995  ed
ha formulato le seguenti domande: 
        «In via principale  tutelare  il  diritto  alla  liberta'  di
impresa di cui all'art.  16  della  Carta  dei  Diritti  Fondamentali
dell'Unione  europea  e  conseguentemente,   previa   disapplicazione
diretta  della  normativa  nazionale  di  cui  all'art.  14   decreto
legislativo n. 504/1995  in  contrasto  con  la  superiore  normativa
comunitaria, rigettare la domanda di accertamento e condanna proposte
perche' infondate». 
        «In subordine, ritenere e  dichiarare  che  la  questione  di
incompatibilita' dell'art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 con gli
articoli 3, 41 e 117 della Costituzione, come sollevata in  atti,  e'
rilevante e non manifestamente infondata; e  previa  sospensione  del
presente giudizio, rimettere gli atti alla Corte  costituzionale  per
il conseguente giudizio di legittimita' in via incidentale». 
        «Spese di lite integralmente rifuse». 
        «In  ulteriore   subordine,   nella   denegata   ipotesi   di
soccombenza,  disporre  la  compensazione  delle   spese   di   lite,
considerato l'obbligo disposto  per  legge  a  carico  del  consorzio
resistente di essere parte del giudizio, ai sensi e per  gli  effetti
di cui all'art. 14 decreto legislativo n. 504/1995. 
    Il 12 febbraio 2021, sciolta la  riserva  dell'8  febbraio  2021,
riunione nella quale era stato esperito inutilmente il  tentativo  di
conciliazione,  il  Collegio  arbitrale  tratteneva la  vertenza   in
decisione. 
Legittimazione  del  Collegio  arbitrale   costituito   a   sollevare
questione incidentale di legittimita' costituzionale ex art. 23 della
legge 11 marzo 1953, n. 87. 
    In via preliminare, il  Collegio  arbitrale  afferma  la  propria
legittimazione a  sollevare  questione  incidentale  di  legittimita'
costituzionale in quanto Collegio chiamato a  decidere  un  Arbitrato
rituale. 
    Infatti, nell'atto  di  compromesso,  le  parti  hanno  convenuto
espressamente che: 
        «L'arbitrato sara' rituale, non amministrato, e  il  Collegio
arbitrale  decidera'  secondo  diritto  nel  rispetto   delle   norme
inderogabili degli articoli 806 e ss. del codice di procedura civile,
pervenendo ad un lodo suscettibile di  essere  reso  esecutivo  e  di
produrre gli effetti di cui all'art. 825 c.p.c. 
        Al Collegio  arbitrale  viene  riconosciuta  la  facolta'  di
regolare lo svolgimento del giudizio nel modo ritenuto piu' opportuno
dallo stesso. In ogni caso il Collegio arbitrale  dovra'  attuare  il
diritto del contraddittorio, concedendo  alle  parti  ragionevoli  ed
equivalenti possibilita' di difesa». 
    Sulla base del contenuto del compromesso  arbitrale  sottoscritto
tra le parti, e sulla base dello svolgimento  del  procedimento  come
sopra richiamato, risulta chiara e incontestabile la  natura  rituale
del  procedimento  arbitrale  e  la  conseguente  legittimazione  del
Collegio,  come  nel  caso  specifico,   a   rimettere   alla   Corte
costituzionale una questione di legittimita' costituzionale ai  sensi
dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. 
Disapplicazione dell'addizionale provinciale alle accise sull'energia
elettrica di cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6. 
    Rispetto alle possibili questioni di legittimita' costituzionale,
ed agli effetti del giudizio di rilevanza,  appare  pregiudiziale  la
valutazione incidentale  della  fondatezza  o  meno  della  richiesta
avanzata  dalla  societa'   Officine   Meccaniche   ANI   S.p.a.   di
disapplicazione dell'addizionale provinciale alle accise sull'energia
elettrica di cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6. 
    L'art. 6 comma 1 del decreto-legge n.  511/1988  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 20/1989,  ha  istituito  un'addizionale
all'accisa sul consumo  di  energia  elettrica  il  cui  gettito  era
destinato a finanziare i bilanci delle province. 
    Per effetto di tale normativa, nel periodo a tutto il 31 dicembre
2011, le bollette elettriche per consumi non domestici fino a 200.000
kwh di consumi mensili per punto di prelievo sono  state  gravate  da
una addizionale provinciale, con una aliquota variabile da un  minimo
di euro 9,30 ad un massimo di euro 11,40  su  mille  Kwh,  a  seconda
delle delibere provinciali adottate. 
    L'addizionale veniva  addebitata  in  fattura  dal  venditore  al
cliente e riscossa contestualmente al corrispettivo della  fornitura.
L'addizionale riscossa veniva poi riversata dal venditore all'Agenzia
delle dogane contestualmente all'accisa. 
    L'addizione provinciale e' stata abrogata dall'art. 4, comma  10,
decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 «A decorrere dal 1° aprile 2012». 
    Il contrasto della normativa nazionale con il diritto comunitario
-  ravvisato  dallo  stesso  legislatore  -  e'  stato  ripetutamente
dichiarato dalla Corte di cassazione,  investita  della  questione  a
seguito dei ricorsi di numerose societa': con orientamento costante a
partire dalla pronuncia n. 27101/2019 del 23 ottobre 2019, la Suprema
Corte  ha  statuito  che  l'addizionale   provinciale   alle   accise
sull'energia elettrica deve essere disapplicata e che le somme pagate
a tale titolo costituiscono un indebito oggettivo, con il conseguente
diritto degli utenti non domestici al rimborso  delle  medesime,  nel
termine prescrizionale di dieci anni dalla data di pagamento, per  le
seguenti motivazioni (vedasi, da ultimo, Cassazione sentenza n. 10690
del 5 giugno 2020): 
        «perche' le addizionali provinciali siano legittime ai  sensi
della direttiva 2008/118/CE occorre il cumulativo  riscontro  di  due
requisiti,  cioe': 1)  il  rispetto  delle  regole   di   imposizione
dell'Unione applicabili ai  fini  delle  accise  o  dell'IVA  per  la
determinazione della base imponibile, il calcolo, l'esigibilita' e il
controllo  dell'imposta;  2)  la   sussistenza   di   una   finalita'
specifica»; 
        la seconda condizione non e' rispettata  «in  quanto  ne'  la
disposizione di cui al decreto 11 giugno 2007, art. 6, del  capo  del
Dipartimento per le politiche fiscali del Ministero  dell'economia  e
delle finanze, previsto dal medesimo articolo, comma  2,  chiariscono
in alcun modo le specifiche finalita' che le  addizionali  dovrebbero
soddisfare, non  essendo  in  armonia  con  il  diritto  unionale  la
destinazione di tali addizionali a semplici finalita' di bilancio»; 
        «in particolare, tenuto conto delle sentenze della  Corte  di
giustizia  sopra  richiamate,  non  puo'  essere  ritenuta  finalita'
specifica   la   destinazione   (evincibile   dalla   premessa    del
decreto-legge  n.  511  del  1988)  delle  imposte   addizionali   ad
"assicurare le necessarie risorse agli enti della finanza regionale e
locale,   al   fine   di   garantire   l'assolvimento   dei   compili
istituzionali", non essendo tale finalita' realmente  distinta  dalla
generica finalita' di bilancio»; 
        «altrettanto deve dirsi per  quanto  riguarda  i  riferimenti
alla legge 8 giugno 1990, n. 142, art. 54, al decreto legislativo  18
agosto  2000,  n.  267,   art.   149   (Testo   unico   delle   leggi
sull'ordinamento degli enti  locali,  T.U.E.L.)  ovvero  all'art.  19
T.U.E.L.: le indicazioni che si traggono da tali norme  sono  infatti
del tutto generiche e  non  in  grado  di  distinguere  la  finalita'
specifica cui l'addizionale provinciale intende soddisfare»; 
        «la circostanza che in tema di bilancio degli enti locali non
sia  possibile  destinare  o   vincolare   a   spese   analiticamente
individuate i proventi dell'addizionale, da un lato,  non  giustifica
la violazione del diritto unionale e, dall'altro,  non  impedisce  al
legislatore di individuare una finalita'  specifica  che  i  proventi
dell'addizionale debbano soddisfare, indipendentemente dalla  diretta
correlazione tra entrata e spesa in sede di bilancio»; 
        «Nemmeno e' possibile trarre argomenti dal  decreto-legge  29
dicembre 2010, n. 225, art. 2, comma 2-bis, conv.  con  modif.  nella
legge 26 febbraio 2011, n. 10 (norma, peraltro,  introdotta  solo  in
sede di conversione e con decorrenza 27 febbraio  2011),  e  ritenere
che  le  addizionali  provinciali  sull'energia  elettrica  vadano  a
copertura  dei  "costi  diretti  e  indiretti  dell'intero  ciclo  di
gestione dei rifiuti":  la  disposizione  richiamata  si  esprime  in
termini potenziali (la gestione dei rifiuti "puo' essere assicurata")
e l'Agenzia delle dogane e dei monopoli non ha  affatto  provato  che
detta addizionale sia  stata,  nel  caso  di  specie,  effettivamente
destinata alla copertura di quei costi»; 
        «ne consegue che il decreto-legge n. 511 del  1988,  art.  6,
comma 2,  indipendentemente  da  qualsiasi  questione  sul  carattere
self-executing della direttiva  2008/112/CE,  peraltro  integralmente
recepita dalla normativa interna,  va  disapplicato  in  ossequio  al
ricevuto principio per cui l'interpretazione del diritto  comunitario
fornita dalla Corte di giustizia U.E. e'  immediatamente  applicabile
nell'ordinamento  interno  e   impone   al   giudice   nazionale   di
disapplicare le  disposizioni  di  tale  ordinamento  che,  sia  pure
all'esito di una corretta interpretazione, risultino in  contrasto  o
incompatibili con essa (Corte costituzionale, 8 giugno 1984, n. 170 e
successive, C.G.U.E., 22 giugno  1989,  in  causa  C103/88,  Fratelli
Costanzo, punti 30 e 31; in materia tributaria,  Sez.  U,  12  aprile
1996, n. 3458)»; 
        «le imposte addizionali in questione non sono dunque  dovute,
con  conseguente  infondatezza  del  motivo  di  ricorso,   dovendosi
pertanto affermare il seguente principio di  diritto:  "l'addizionale
provinciale  alle   accise   sull'energia   elettrica   di   cui   al
decreto-legge  n.  511  del  1988,  art.  6,  nella   sua   versione,
applicabile ratione temporis, successiva  alle  modifiche  introdotte
dal decreto  legislativo  n.  26  del  2007,  art.  5,  comma  1,  va
disapplicata per contrasto con la direttiva 2008/118/CE, art. 1, par.
2, per come  interpretato  dalla  Corte  di  giustizia  U.E.  con  le
sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13, e 25 luglio 2018, in  causa
C-103/17». 
    Alla luce  della  costante  giurisprudenza  della  Suprema  Corte
ritiene il Collegio arbitrale, agli effetti del giudizio di rilevanza
ed in via incidentale,  di  condividere  ed  applicare  il  suesposto
principio di diritto e  dunque  che  l'addizionale  provinciale  alle
accise sull'energia elettrica di cui  al  decreto-legge  n.  511  del
1988, art. 6,  nella  sua  versione,  applicabile  ratione  temporis,
successiva alle modifiche introdotte dal decreto  legislativo  n.  26
del 2007, art. 5, comma 1, vada  disapplicata  come  richiesto  dalla
societa' Officine Meccaniche ANI S.p.a., con conseguente  sussistenza
del dedotto indebito oggettivo. 
    Si tratta quindi di valutare  se,  nel  caso  di  addebito  delle
accise (e relativa addizionale) al consumatore  finale,  quest'ultimo
debba esercitare l'azione  civilistica  di  ripetizione  di  indebito
direttamente nei confronti del fornitore, se il diritto  al  rimborso
spettante al fornitore richieda quale condizione  necessaria  che  il
consumatore  finale  abbia  esercitato   vittoriosamente   nei   suoi
confronti azione di ripetizione di indebito e se la normativa vigente
in ordine al rimborso dell'accisa indebitamente versata sia  conforme
ai precetti costituzionali. 
Quadro normativo di riferimento in cui va collocata  la  disposizione
(censurata) che  disciplina  il  rimborso  di  accise  (e/o  relative
addizionali) indebitamente corrisposte. 
    Secondo il Testo unico accise  (decreto  legislativo  26  ottobre
1995, n. 504 e successive modificazioni), nella versione  applicabile
ratione temporis, per  i  prodotti  sottoposti  ad  accisa  (ed  alla
relativa addizionale)  l'obbligazione  tributaria  sorge  al  momento
della loro fabbricazione ovvero  della  loro  importazione  (art.  2,
comma 1); sono obbligati al pagamento  dell'accisa  il  titolare  del
deposito fiscale dal quale avviene  l'immissione  in  consumo  e  gli
altri soggetti nei cui confronti  si  verificano  i  presupposti  per
l'esigibilita' dell'imposta (comma 4). 
    Gli obbligati al  pagamento  dell'accisa  sull'energia  elettrica
sono  «i  soggetti  che  procedono  alla  fatturazione   dell'energia
elettrica ai consumatori finali, di seguito indicati come  venditori»
(art. 53, comma 1, lettera a), mentre «i crediti vantati dai soggetti
passivi dell'accisa verso i cessionari dei prodotti  per  i  quali  i
soggetti stessi hanno assolto tale tributo possono essere  addebitati
a titolo di rivalsa» (art. 16, comma  3);  all'art.  56  si  precisa,
altresi', che le societa' fornitrici «hanno diritto  di  rivalsa  sui
consumatori finali» (art. 56, comma 1). 
    Ai sensi dell'art. 14 TUA  (nella  versione  applicabile  ratione
temporis alla presente procedura  arbitrale,  inalterata  rispetto  a
quella dell'epoca - anno 2011 -  della  riscossione  dell'addizionale
all'accisa di cui si discute), «l'accisa e' rimborsata quando risulta
indebitamente pagata», ma il rimborso  -  previsto  in  via  generale
dall'art. 9, p. 2, della direttiva n. 2008/118/CE, che fa riferimento
alle modalita' stabilite dai singoli  Stati  membri  -  «deve  essere
richiesto, a pena  di  decadenza,  entro  due  anni  dalla  data  del
pagamento»  e  che  «Qualora,   al   termine   di   un   procedimento
giurisdizionale, il soggetto obbligato al pagamento  dell'accisa  sia
condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite
a titolo  di  rivalsa  dell'accisa,  il  rimborso  e'  richiesto  dal
predetto soggetto obbligato,  a  pena  di  decadenza,  entro  novanta
giorni dal passaggio  in  giudicato  della  sentenza  che  impone  la
restituzione delle somme». 
    Il diritto al rimborso dell'accisa e', dunque, regolato,  in  via
generale, dall'art. 14 TUA,  mentre  il  decreto-legge  30  settembre
1982, n. 688, art. 19, comma 1,  conv.  con  modif.  nella  legge  27
novembre 1982, n. 873, secondo cui «chi ha indebitamente  corrisposto
diritti doganali all'importazione, imposte di fabbricazione,  imposte
di consumo o diritti erariali (...)  ha  diritto  al  rimborso  delle
somme pagate quando prova documentalmente che l'onere non e' stato in
qualsiasi modo trasferito su altri soggetti, salvo il caso di  errore
materiale», risulta applicabile unicamente «quando i tributi riscossi
non rilevano per l'ordinamento comunitario» (legge 29 dicembre  1990,
n. 428, art. 29, comma 3). 
    Per  il  rimborso  dei  tributi   rilevanti   per   l'ordinamento
comunitario dispone la legge n. 428 del 1990, art. 29,  comma  2,  il
quale  stabilisce  che:  «I  diritti  doganali  all'importazione,  le
imposte di fabbricazione, le  imposte  di  consumo,  il  sovrapprezzo
dello zucchero e i  diritti  erariali  riscossi  in  applicazione  di
disposizioni  nazionali  incompatibili  con  norme  comunitarie  sono
rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato  trasferito  su
altri soggetti, circostanza che non puo' essere assunta dagli  uffici
tributari a mezzo di presunzioni». 
    Dal combinato disposto delle menzionate disposizioni  emerge  che
il primo soggetto passivo del rapporto tributario e' il fornitore  di
energia, tenuto verso il fisco per il  pagamento  dell'accisa  ovvero
della relativa addizionale. Egli puo' ribaltarne l'onere  rivalendosi
nei confronti dell'utente  secondo  la  caratterizzazione  tipologica
delle  accise;  il  che  postula,  per  poter  risultare  efficace  e
garantire un  gettito  costante  all'Erario,  la  concentrazione  del
controllo su pochi soggetti, ossia i produttori o gli importatori dei
prodotti (Cassazione sentenza n. 17627 del 6 agosto 2014). 
    Per costoro, in sostanza, l'accisa e' un  costo  sostenuto  prima
della cessione del bene, tale da farlo rientrare, ad  esempio,  nella
base imponibile dell'IVA (Cassazione sentenza n. 24015 del 3  ottobre
2018). 
    Per altro verso, «la configurabilita' della rivalsa come  oggetto
di un diritto e non come elemento connaturale  ed  ineludibile  della
fisionomia del tributo esclude la configurabilita'  del  rapporto  di
sostituzione d'imposta e, per conseguenza, l'autonoma  rilevanza  del
sostituito, ossia del consumatore  finale»  (Cassazione  sentenza  n.
9567 del 2013). 
    Le superiori conclusioni trovano  conferma  nella  giurisprudenza
della Corte di cassazione: sia pure con riferimento al gas metano, e'
stato, infatti, affermato che «il  rapporto  tributario  inerente  al
pagamento  dell'imposta  si  svolge  solo  tra   la   amministrazione
finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente il  gas  metano
ai consumatori e ad esso e' del tutto estraneo l'utente  consumatore»
(Cassazione S.U. sentenza 25 maggio 2009, n. 11987), sicche' «il solo
soggetto obbligato  verso  l'amministrazione  finanziaria  e'  l'ente
comunale che immette in consumo il gas e riscuote l'accisa  inglobata
nel prezzo (e' una peculiarita'  che  non  incide  sulla  natura  del
tributo che resta distinto dal prezzo  del  gas)  (...)»  (Cassazione
S.U. sentenza 19 marzo 2009, n. 6589). 
    Uno schema del tutto analogo e' seguito per il  versamento  delle
imposte addizionali di cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art.  6,
comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis), secondo  cui  dette
imposte sono dovute, dai soggetti obbligati di cui  all'art.  53  TUA
(societa'  fornitrici),  al  momento  della  fornitura   dell'energia
elettrica ai consumatori finali e che «le addizionali sono  liquidate
e  riscosse  con  le  stesse   modalita'   dell'accisa   sull'energia
elettrica». 
    In buona sostanza, l'imposta (e la sua addizionale) e' dovuta dai
soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai  consumatori,  di
guisa che soggetto passivo dell'imposta e' il fornitore del prodotto;
quanto al consumatore, l'onere corrispondente all'imposta  e'  su  di
lui traslato  in  virtu'  e  nell'ambito  di  un  fenomeno  meramente
economico. Ne deriva che il rapporto tributario inerente al pagamento
dell'imposta si svolge soltanto tra l'amministrazione finanziaria  ed
i soggetti che forniscono direttamente i prodotti,  essendo  ad  esso
estraneo l'utente consumatore. 
    Come e' stato rilevato sia in dottrina che in giurisprudenza,  «i
due rapporti, quello fra fornitore ed amministrazione  finanziaria  e
quello fra fornitore e consumatore, si pongono quindi  su  due  piani
diversi: il primo ha  rilievo  tributario,  il  secondo  civilistico»
(cfr. Cassazione sentenza n. 9567 del 2013). 
    E' stato ancora precisato, sia pure con  riferimento  all'IVA  di
rivalsa (Cassazione sentenza n. 23288 del 27 settembre 2018)  ma  con
evidente estensibilita' ad altre ipotesi (come in  tema  di  accise),
che  dal  compimento  dell'operazione  imponibile  scaturiscono   tre
rapporti (cfr. Cassazione S.U. sentenza n. 26437 del 20 luglio 2017):
uno, tra l'amministrazione finanziaria  e  il  cedente,  relativo  al
pagamento dell'imposta; un secondo, tra il cedente e il  cessionario,
concernente  la  rivalsa;  un  terzo,  tra  l'amministrazione  e   il
cessionario, relativo alla detrazione dell'imposta assolta in via  di
rivalsa. 
    Si  tratta  di  rapporti  che,   pur   essendo   collegati,   non
interferiscono tra loro e soltanto il cedente ha titolo ad agire  per
il rimborso nei confronti dell'amministrazione, la  quale,  pertanto,
essendo estranea al rapporto tra  cedente  e  cessionario,  non  puo'
essere tenuta a rimborsare direttamente a quest'ultimo  quanto  dallo
stesso versato in via di rivalsa (Cassazione sentenza n. 14933 del  6
luglio 2011; Cassazione sentenza n. 17169 del 26 agosto 2015). 
    Al riguardo, la Corte di giustizia ha ripetutamente  sottolineato
(tra le tante, CGUE 27 aprile 2017, causa C-564/15, Farkas)  che,  in
mancanza di disciplina dell'Unione in materia di domande di  rimborso
delle imposte, spetta all'ordinamento giuridico interno  di  ciascuno
Stato membro stabilire  i  requisiti  al  ricorrere  dei  quali  tali
domande possono essere presentate, purche' i requisiti  in  questione
rispettino i principi di equivalenza e di effettivita', vale a  dire,
non siano meno favorevoli di quelli che riguardano  reclami  analoghi
basati su norme di natura interna e non siano congegnati in  modo  da
rendere praticamente impossibile l'esercizio  dei  diritti  conferiti
dall'ordinamento giuridico dell'Unione (in  termini,  CGUE  15  marzo
2007, causa C-35/05, punto 37, Reemtsma Cigarettenfabriken). 
    E quindi rispetta i principi di  neutralita'  e  di  effettivita'
(consentendo  all'acquirente,   gravato   dell'imposta   erroneamente
fatturata, di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate)
un sistema nel quale, da un  lato,  il  venditore  del  bene  che  ha
versato erroneamente alle autorita' tributarie l'IVA  puo'  chiederne
il rimborso e, dall'altro, l'acquirente di tale bene puo'  esercitare
un'azione civilistica di ripetizione dell'indebito nei  confronti  di
tale venditore (CGUE 15 marzo 2007, causa C-35/05, cit., punti  38  e
39 e giurisprudenza ivi citata). 
    E' quindi compito degli Stati membri prevedere gli strumenti e le
modalita' procedurali necessari per consentire a detto acquirente  di
recuperare l'imposta indebitamente fatturata, in modo  da  rispettare
il principio di effettivita'; sicche' soltanto se il rimborso risulti
impossibile o eccessivamente difficile, il principio di  effettivita'
puo' imporre che l'acquirente del bene in questione  sia  legittimato
ad agire per il rimborso direttamente nei confronti  delle  autorita'
tributarie (come nel caso di fallimento del venditore: CGUE 27 aprile
2017, causa C-564/15, cit.; conf., CGUE 31 maggio 2018, cause C660  e
661/16, KollroB e Wirti, punto 66). 
    Il fruitore dei beni  o  dei  servizi  puo'  dunque  ottenere  il
rimborso  dell'imposta   illegittimamente   versata   esperendo   nei
confronti del cedente  o  del  prestatore  un'azione  di  ripetizione
d'indebito di rilevanza civilistica (vedi, in tema di  IVA,  CGUE  15
dicembre 2011, causa C-427/10, Banca Popolare Antoniana veneta, punto
42; e, in tema di  accise,  CGUE  20  ottobre  2011,  causa  C-94/10,
Danfoss)  ed  eccezionalmente   un'azione   diretta   nei   confronti
dell'Erario, ove venga dedotta in relazione all'azione nei  confronti
del fornitore la violazione del principio di effettivita'. 
    L'impossibilita' o l'eccessiva difficolta' di cui sopra non  sono
di per se' ravvisabili per  il  fatto  che  la  natura  indebita  del
pagamento dell'imposta  discenda  dalla  contrarieta'  di  una  norma
nazionale a una direttiva, ma  sono  correlate  alla  situazione  del
soggetto passivo (nel caso in questione, del fornitore) e non gia'  a
quella del consumatore finale. 
    Puo' quindi affermarsi, con specifico  riferimento  alla  materia
delle accise e delle addizionali, che secondo  la  normativa  vigente
(TUA): 
        obbligato al pagamento delle accise (e relativa  addizionale)
nei  confronti  dell'amministrazione  doganale   e'   unicamente   il
fornitore; 
        il fornitore  puo'  addebitare  integralmente  le  accise  (e
relativa addizionale) pagate al consumatore finale; 
        i  rapporti  tra  fornitore  e  amministrazione  doganale   e
fornitore e consumatore finale sono autonomi e non interferiscono tra
loro; 
        in ragione della menzionata autonomia, il consumatore finale,
anche in caso di addebito del tributo da parte del fornitore, non  ha
diritto a chiedere direttamente  all'amministrazione  finanziaria  il
rimborso  delle  accise  (e/o  relativa  addizionale)   indebitamente
corrisposte; 
        il diritto al rimborso spetta unicamente  al  fornitore,  che
puo' esercitarlo nei confronti dell'amministrazione  finanziaria:  a)
nel caso in cui non abbia addebitato l'imposta al consumatore finale,
entro due anni dalla data del  pagamento;  b)  nel  caso  in  cui  il
consumatore  finale  abbia  esercitato   vittoriosamente   nei   suoi
confronti azione di ripetizione di indebito, entro novanta giorni dal
passaggio in giudicato della relativa sentenza; 
        nel caso di addebito delle accise (e relativa addizionale) al
consumatore finale, quest'ultimo puo' esercitare l'azione civilistica
di ripetizione di indebito direttamente nei confronti del  fornitore,
salvo  chiedere  eccezionalmente  il  rimborso  anche  nei  confronti
dell'amministrazione finanziaria  allorquando  alleghi  che  l'azione
esperibile nei confronti del fornitore si  riveli  oltremodo  gravosa
(come accade, ad esempio, nell'ipotesi di fallimento del fornitore). 
    In buona sostanza, secondo la normativa vigente: 
        le imposte addizionali sul consumo di  energia  elettrica  di
cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art.  6,  comma  3  (nel  testo
applicabile ratione temporis) sono dovute, al pari delle accise,  dal
fornitore  al  momento  della  fornitura  dell'energia  elettrica  al
consumatore finale e, nel caso di pagamento indebito, unico  soggetto
legittimato a  presentare  istanza  di  rimborso  all'amministrazione
finanziaria ai sensi del decreto legislativo n. 504 del 1995, art. 14
e della legge n. 428 del 1990, art. 29, comma 2, e' il fornitore; 
        il consumatore finale  dell'energia  elettrica,  a  cui  sono
state addebitate  le  imposte  addizionali  sul  consumo  di  energia
elettrica di cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art.  6,  comma  3
(nel testo applicabile ratione temporis) da parte del fornitore, puo'
agire  nei  confronti  di  quest'ultimo  con  l'ordinaria  azione  di
ripetizione di indebito e, solo nel caso in cui tale azione si riveli
impossibile  o  eccessivamente   difficile   con   riferimento   alla
situazione  in  cui  si  trova  il  fornitore,  puo'  eccezionalmente
chiedere il rimborso nei confronti dell'amministrazione  finanziaria,
nel  rispetto  del  principio  unionale  di  effettivita'  e   previa
allegazione  e  dimostrazione  delle   circostanze   di   fatto   che
giustificano tale legittimazione straordinaria; 
        solo una volta che sia stata  esercitata  vittoriosamente  da
parte del consumatore finale l'azione di rimborso nei  confronti  del
fornitore, quest'ultimo ha novanta giorni dal passaggio in  giudicato
della sentenza per far valere il diritto al  rimborso  nei  confronti
dell'amministrazione finanziaria. 
Dubbi di costituzionalita' del  quarto  comma  dell'art.  14  decreto
legislativo n. 504/1995. 
    Il Consorzio Energia Assindustria  Vicenza  -  Energindustria  ha
evidenziato: 
        di aver incassato dai clienti  negli  anni  2010  e  2011,  a
titolo di addizionale provinciale all'accisa sull'energia  elettrica,
la somma complessiva di  euro  6.011.045,80,  che  poi  ha  riversato
all'Erario nella sua veste di debitore di imposta; 
        che, al momento della costituzione  del  Collegio  arbitrale,
oggetto di potenziale rimborso per indebito comunitario non era tutta
la somma incassata a titolo  di  addizionale  provinciale  all'accisa
sull'energia  elettrica  nel  biennio  2010/2011,  in  quanto   parte
dell'indebito risultava prescritta; 
        che al momento della costituzione del Collegio  arbitrale  il
potenziale onere di rimborso a carico del Consorzio per indebiti  non
prescritti poteva essere valutato in circa quattro milioni e mezzo di
euro (come da elenchi e schede contabili prodotte); 
        che,   alla   data   di    radicazione    del    procedimento
arbitrale, trentatre' clienti avevano presentato istanza di  rimborso
per le somme versate a titolo di addizionale provinciale  all'energia
elettrica negli anni 2010/2011, per un importo complessivo  richiesto
pari ad euro  1.537.261,72,  intimando  il  pagamento  e  minacciando
l'azione giudiziaria; 
        di avere l'onere, ai sensi dell'art. 14  decreto  legislativo
n.  504/1995,  di  sostenere  un  procedimento  giurisdizionale   per
giungere ad una sentenza di condanna che gli consenta successivamente
di richiedere  all'Erario  le  somme  (per  addizionale  provinciale)
rimborsate ai clienti; 
        che all'importo capitale  degli  indebiti  andrebbero  quindi
aggiunti i costi di difesa (quantificati in oltre un milione di  euro
per il solo giudizio di primo grado  se  tutti  i  clienti  creditori
agissero in giudizio ed in oltre 170.000 euro per  i  soli trentatre'
potenziali giudizi di primo grado relativi alle istanze  di  rimborso
gia' ricevute, salvi i gradi successivi) e i realistici oneri  legali
di soccombenza; 
        che, anche a voler  limitare  l'onere  ai trentatre'  giudizi
potenziali conseguenti alle istanze di rimborso gia'  presentate,  il
Consorzio sarebbe chiamato a allocare in bilancio un fondo per  oneri
di lite futuri che comprenda anche un importo non inferiore  ad  euro
170.000,00, senza considerare le ulteriori somme eventualmente dovute
per oneri di soccombenza; 
        che sebbene la societa' Officine Meccaniche ANI  richieda  il
rimborso della  somma  di  soli  euro  16.436,44  in  linea  capitale
(importo il cui pagamento non comporta  pregiudizio  irreversibile  o
onere   finanziario   insostenibile)   nell'ipotesi    di    rimborso
generalizzato per indebito comunitario la  valorizzazione  dell'onere
restitutorio e delle lesioni del diritto costituzionale e comunitario
non devono essere  valutati  in  senso  atomistico,  con  riferimento
limitato al singolo rimborso; 
        che  quindi,  imponendo  l'art.  14  decreto  legislativo  n.
504/1995 un obbligo generale di rimborso  dell'indebito  comunitario,
deve  essere  valutata  la  complessiva  idoneita'  di  tale  obbligo
generale ad incidere sfavorevolmente, ed in modo irreversibile, nella
sfera giuridica patrimoniale del soggetto gravato dal rimborso; 
        che  la  valutazione  del  peso  dell'obbligo  e  della   sua
irragionevolezza non deve essere rapportata alla manifestazione di un
singolo fatto (i.e. pagamento singolo e  puntuale),  ma  deve  essere
svolta  sullo  stato  di  soggezione,  da  intendersi  negli  effetti
complessivi che l'obbligo imposto dalla  norma  esplica  nella  sfera
giuridica del Consorzio; 
        che l'Organo amministrativo del  Consorzio  ha  l'obbligo  di
adottare idonee misure e politiche di bilancio  e  di  programmazione
della propria attivita' atte a coprire  gli  oneri  e  le  passivita'
sopraindicate quanto meno  per  un  importo  non  inferiore  ad  euro
1.800.000,00 (debito restitutorio certo oltre ad oneri di giustizia e
di  soccombenza),  con  accantonamento  minimo  (limitato  alle  sole
istanze gia' pervenute) di pari importo; 
        di essere verosimilmente nell'impossibilita'  di  far  fronte
all'onere restitutorio imposto dalla legge ed agli oneri conseguenti,
come si puo' desumere dal bilancio al 31 dicembre 2019 in  atti,  dal
quale emergono: un valore  della  produzione  di  euro  1.376.435,00,
costi della produzione per  euro  1.263.763,00,  un  risultato  prima
delle imposte di euro 115.801,00,  un  utile  di  esercizio  di  euro
12.774,00, un netto patrimoniale di euro 981.589,00; 
        di non essere in grado di assicurare la costituzione di alcun
fondo ne' di fronteggiare il debito restitutorio se non ricorrendo  a
misure  di  politica  aziendale  e  di  bilancio  straordinarie   che
comporterebbero il congelamento della liquidita',  lo  stravolgimento
della politica consortile in ordine a iniziative e  sviluppi  futuri,
il forte rischio (o pericolo  serio,  concreto  ed  attuale)  di  non
essere in grado di gestire  la  normale  e  ordinaria  attivita',  in
ordine ai debiti  correnti,  ivi  compreso  il  trattamento  di  fine
rapporto ai dipendenti, il pericolo della messa in  liquidazione  del
Consorzio e della sua insolvenza; 
        che  la  presenza  del  debito  restitutorio   comporta   che
l'attivita' del Consorzio non sia piu' finalizzata  a  perseguire  lo
scopo  consortile  per  cui  e'  stato  costituito,  ma   che   venga
monopolizzata, per un tempo al momento indefinito,  dalla  necessita'
di fronteggiare il debito stesso, sorto a causa di  un  comportamento
non proprio, ma del legislatore, con  rimborso  differito  nel  tempo
nell'esclusivo interesse dell'Erario; 
        che sussiste il rischio concreto e attuale di non  essere  in
grado di far fronte all'onere restitutorio,  con  il  pericolo  della
messa in liquidazione del  Consorzio  e  della  sua  insolvenza,  con
conseguente estinzione; 
        che alla luce della situazione concreta che si  e'  venuta  a
creare appare fondato il dubbio che la norma di legge di cui all'art.
14 decreto legislativo n. 504/1995, con riferimento alla  fattispecie
di indebito comunitario, si ponga in contrasto sia con gli articoli 3
e 41 della Costituzione, sia con l'art. 117  della  Costituzione,  in
via mediata, per violazione  degli  articoli  16  e  52  della  Carta
Fondamentale dei Diritti dell'Unione europea; 
        che in questo caso, persistendo comunque in radice un  dubbio
di legittimita' in presenza di una doppia pregiudizialita', si  rende
necessario il rinvio pregiudiziale alla  Corte  costituzionale,  come
dalla stessa evidenziato in varie pronunce (1)   (2) , anche  perche'
al Collegio arbitrale e' preclusa  la  strada  collaborativa  con  il
giudice comunitario del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. 
    Il  Collegio  arbitrale   ritiene   che   sussistano   dubbi   di
costituzionalita' del quarto comma dell'art. 14  decreto  legislativo
n. 504/1995 sia sotto i profili  evidenziati  dal  Consorzio  Energia
Assindustria Vicenza - Energindustria sia sotto gli ulteriori profili
di seguito esposti. 
Violazione degli articoli 41 e 3 della Costituzione. 
    Sul punto del diritto alla liberta'  della  iniziativa  economica
previsto dall'art. 41 della Carta costituzionale e sui suoi limiti la
giurisprudenza della  Corte  costituzionale  e'  chiara,  pacifica  e
costante: 
        la tutela costituzionale della sfera  dell'autonomia  privata
non e' assoluta; 
        il legislatore puo' imporre oneri all'attivita'  di  impresa:
pertanto non e' configurabile una lesione della liberta' d'iniziativa
economica allorche' l'apposizione di limiti di ordine generale al suo
esercizio corrisponda all'utilita' sociale; 
        le limitazioni o gli oneri imposti alla attivita' di  impresa
non devono essere arbitrari (3) ; 
        le misure in concreto adottate non devono essere  palesemente
incongrue; 
        l'intervento legislativo non deve essere tale da condizionare
le scelte imprenditoriali  in  grado  cosi'  elevato  da  indurre  la
funzionalizzazione  dell'attivita'   economica,   sacrificandone   le
opzioni di fondo,  restringendone  in  rigidi  confini  lo  spazio  e
l'oggetto delle stesse scelte organizzative» (4) . 
    Ad avviso del Collegio arbitrale la norma di cui al quarto  comma
dell'art. 14 del decreto legislativo  n.  504/1992,  con  riferimento
alle  modalita'  imposte  al  venditore  per  la  restituzione  delle
addizionali  provinciali  all'accisa  all'energia   elettrica   quale
indebito  oggettivo  comunitario  e  per   il   successivo   recupero
dell'addizionale,  non  e'  conforme   ai   principi   costituzionali
delineati dall'art. 41, ma pone un limite illegittimo,  irragionevole
e non proporzionato al diritto alla liberta' di iniziativa  economica
posto che: 
        l'onere imposto dalla legge al  venditore  (nella  specie  il
Consorzio  Energia  Assindustria   Vicenza   -   Energindustria)   di
rimborsare un indebito per violazione del diritto  comunitario  priva
lo stesso delle risorse economiche necessarie allo svolgimento  della
propria  attivita',  con  il  rischio  di  insolvenza  e  conseguente
estinzione, per un fatto o inadempimento non imputabile allo  stesso,
ma al legislatore dello Stato membro, cosi' arrecando pregiudizio  al
contenuto  essenziale  del   diritto   costituzionale   alla   libera
iniziativa economica; 
        l'onere di «anticipare» le somme percepite  indebitamente  in
virtu'  di  una   sentenza   provvisoriamente   esecutiva,   con   la
possibilita' di  recuperare  le  somme  solo  dopo  anni  (divergenza
temporale tra sentenza provvisoriamente  esecutiva,  che  obbliga  il
venditore a corrispondere  l'indebito  comunitario,  e  passaggio  in
giudicato della sentenza che legittima la richiesta  di  restituzione
delle  somme  anticipate),   comporta   uno   sbilancio   finanziario
irragionevole ed inaccettabile, che pregiudica l'attivita' di impresa
propria del venditore (nella specie il Consorzio Energia Assindustria
Vicenza - Energindustria); 
        l'obbligo  di  sostenere  una  difesa  giudiziale,  per   una
moltitudine diffusa di procedimenti,  con  costi  ingenti  a  proprio
esclusivo carico senza alcuna possibilita' di  rimborso,  appare  del
tutto irragionevole ed  arbitrario,  specie  quando  il  diritto  del
cliente al  rimborso  appare  chiaro  e  delineato  alla  luce  della
condivisibile giurisprudenza della Corte di cassazione; 
        proprio la presenza di un obbligo restitutorio  generalizzato
di una accisa o addizionale per  indebito  comunitario  comporta  che
l'attivita' del Consorzio non sia piu' finalizzata  a  perseguire  lo
scopo per cui e' stato costituito, ma  venga  monopolizzata,  per  un
tempo indefinito al momento,  dalla  necessita'  di  fronteggiare  il
debito stesso, sorto -  come  detto  -  a  causa  dell'emanazione  di
normativa in contrasto con il diritto comunitario. 
    L'onere imposto dall'art. 14 decreto legislativo  n.  504/1995  a
carico del fornitore di  energia  appare  illegittimo  anche  perche'
sproporzionato e si  manifesta  insopportabile  e  spropositato,  con
conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    Per  poter  rispondere  ai  principi  di  proporzionalita'  e  di
ragionevolezza, le misure adottate dal legislatore  nazionale  devono
infatti essere idonee  al  conseguimento  degli  obiettivi  legittimi
prefissati, non devono superare i limiti di quanto risulti necessario
per conseguire tali obiettivi (tanto  che  qualora  esistano  diverse
alternative sul piano regolamentare si deve ricorrere a  quella  meno
restrittiva)  e  gli  inconvenienti   causati   non   devono   essere
sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti. 
    Nel caso in esame appare evidente la  sproporzione  e  la  totale
mancanza  di  bilanciamento  degli  interessi  contrapposti,  con  il
sacrificio del diritto alla liberta' di impresa a favore dell'Erario. 
    Va infatti considerato che il quarto comma dell'art.  14  decreto
legislativo n. 504/1995  disciplina  due  fattispecie  tra  loro  ben
diverse, e cioe': 
        sia l'ipotesi di indebito singolo  e  specifico  per  erronea
applicazione dell'accisa o della sua addizionale; 
        sia l'indebito per violazione di normativa  comunitaria  (pur
dovendosi ritenere che  la  predetta  norma  non  sia  sorta  con  la
finalita' di disciplinare tale indebito). 
    E  che  si  tratti  di  fattispecie  ben  diverse  tra  loro   e'
evidenziato dal fatto che: 
        a) l'indebito singolo e specifico  per  erronea  applicazione
dell'accisa: 
          colpisce in modo limitato  pochi  comportamenti,  posti  in
essere in carenza o violazione dei presupposti richiesti dalla norma; 
          e' frutto di un errore posto in essere dal venditore o  dal
cliente; 
          e' conosciuto in concreto dalle  sole  parti  del  rapporto
contrattuale; 
          genera un onere finanziario limitato, del tutto sostenibile
da parte del venditore; 
        b) l'indebito per violazione di  normativa  comunitaria,  per
contro: 
          colpisce  la  generalita'   dei   soggetti   potenzialmente
interessati all'accisa; 
          e'  conseguenza  di  un   comportamento   illegittimo   del
legislatore nazionale, cui competerebbe l'obbligo  di  porvi  rimedio
senza nessun concorso delle parti contrattuali; 
          non e' conseguenza di un comportamento errato delle  parti,
le quali hanno dato corretta esecuzione ad una norma di legge vigente
all'epoca dell'applicazione dell'accisa o sua addizionale; 
          non richiede l'opportunita' che la verifica della debenza o
meno del diritto al rimborso  venga  devoluto  al  soggetto  che,  in
concreto e  senza  colpa,  ha  addebitato  l'accisa  ma  puo'  essere
valutato  direttamente  dall'Erario,  effettivo  destinatario   delle
somme, sulla base della prova del pagamento indebito; 
          genera   un   onere   molto   elevato,   spropositato    ed
insostenibile da parte del soggetto passivo dell'accisa. 
    La lettera dell'art. 14 decreto legislativo n. 504/1995, che  non
opera distinzioni tra i  due  diversi  tipi  di  indebito,  va  cosi'
irragionevolmente a disciplinare in modo identico fattispecie diverse
tra loro, e cioe' sia l'indebito  dovuto  a  errore  limitato  e  non
generalizzato, commesso dal venditore o dall'acquirente nel corso del
rapporto  contrattuale,  sia  l'indebito   comunitario,   conseguente
all'illegittimita'    dell'addizionale     provinciale     all'accisa
all'energia elettrica, determinando cosi'  conseguenze  insostenibili
per il venditore nell'ipotesi di indebito generalizzato  comunitario;
la   violazione    dell'art.    3    della    Costituzione    appare,
nell'applicazione della predetta norma all'indebito comunitario,  del
tutto evidente. 
Violazione dell'art. 117 della  Costituzione,  in  via  mediata,  per
violazione degli articoli  16  e  52  della  Carta  Fondamentale  dei
Diritti dell'Unione europea. 
    Alla luce della  situazione  concreta  sulla  quale  il  Collegio
arbitrale e' chiamato a pronunciarsi, appare fondato il dubbio che la
norma di legge di cui all'art. 14 decreto  legislativo  n.  504/1995,
quarto comma, si ponga in contrasto anche con gli articoli  16  e  52
della Carta Fondamentale dei Diritti dell'Unione europea, e pertanto,
con l'art. 117 della Carta costituzionale. 
    Va evidenziato al riguardo: 
        che la fattispecie in esame e' assoggettata  alla  disciplina
della direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre  2008,  per
la  cui  attuazione  e'  stato  novellato  l'art.  14   del   decreto
legislativo n. 504/1995; 
        che, in particolare, l'art. 9 di tale direttiva dispone:  «Le
condizioni di esigibilita' e l'aliquota dell'accisa da applicare sono
quelle in vigore alla data in cui l'accisa  diviene  esigibile  nello
Stato membro nel quale ha luogo  l'immissione  in  consumo.  L'accisa
viene applicata e riscossa e, se del caso, e' oggetto di  rimborso  o
sgravio secondo le modalita' stabilite da ciascuno Stato membro.  Gli
Stati membri applicano le medesime modalita' ai prodotti nazionali  e
ai prodotti provenienti dagli altri Stati membri»; 
        che l'art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 costituisce
l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla normativa comunitaria e
quindi norma di derivazione comunitaria; 
        che gli articoli 16 e 52 della Carta Fondamentale dei Diritti
dell'Unione europea dispongono: 
          «Art. 16  (Liberta'  di  impresa).  -  E'  riconosciuta  la
liberta' d'impresa,  conformemente  al  diritto  dell'Unione  e  alle
legislazioni e prassi nazionali»; 
          «Art. 52  (Portata  dei  diritti  garantiti).  -  Eventuali
limitazioni all'esercizio dei diritti e delle  liberta'  riconosciuti
dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e  rispettare
il contenuto essenziale di detti diritti e liberta'. Nel rispetto del
principio di proporzionalita', possono essere  apportate  limitazioni
solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalita'
di interesse generale  riconosciute  dall'Unione  o  all'esigenza  di
proteggere i diritti e le liberta' altrui»; 
        che  le  citate   norme   sono   state   interpretate   dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia nel senso che: 
          la liberta' di impresa implica la  liberta'  di  esercitare
un'attivita' economica o commerciale, la liberta' contrattuale  e  la
libera concorrenza (5) ; 
          il diritto alla liberta' d'impresa  comprende  segnatamente
il diritto di ogni impresa di poter disporre liberamente, nei  limiti
della  responsabilita'  per  le   proprie   azioni,   delle   risorse
economiche, tecniche e finanziarie di cui dispone (6) ; 
          la  liberta'  d'impresa  non  costituisce  una  prerogativa
assoluta, e puo' essere soggetta a  interventi  dei  poteri  pubblici
suscettibili   di   stabilire,   nell'interesse   generale,    limiti
all'esercizio dell'attivita' economica; 
          ai sensi dell'art. 52, paragrafo 1, della Carta,  eventuali
limitazioni all'esercizio dei diritti e delle  liberta'  riconosciute
da quest'ultima devono essere previste  dalla  legge,  rispettare  il
contenuto essenziale di tali diritti e liberta' e, nel  rispetto  del
principio  di  proporzionalita',  essere  necessarie   e   rispondere
effettivamente  a  finalita'  di  interesse   generale   riconosciute
dall'Unione europea o all'esigenza  di  proteggere  i  diritti  e  le
liberta' altrui (7) ; 
        che se e' pur vero che gli  Stati  membri  dispongono  di  un
ampio margine discrezionale nella  scelta  degli  oneri  imposti  per
conseguire  un  fine  di   interesse   pubblico   «siffatto   margine
discrezionale non puo' giustificare che siano lesi i  diritti  che  i
soggetti dell'ordinamento ricavano dalle  disposizioni  del  Trattato
che sanciscono le loro liberta' fondamentali. Inoltre le  limitazioni
apportate  al  libero  esercizio  dei  diritti   e   delle   liberta'
fondamentali garantite dalla Carta, nella fattispecie  alla  liberta'
di impresa sancita dall'art. 16  di  quest'ultima,  devono  del  pari
rispettare il  contenuto  essenziale  di  tali  diritti  e  liberta'»
(Sentenza del 21 dicembre 2016, AGET Iralklis, C-201/15, punti  81  e
82); 
        che, secondo la giurisprudenza della Corte di  giustizia,  il
controllo   di   proporzionalita'    consiste    nell'esaminare    la
corrispondenza tra gli obiettivi prefissi  e  le  misure  scelte  per
conseguirli  e  che,   per   poter   rispondere   al   principio   di
proporzionalita',  le  misure  adottate  devono  essere   idonee   al
conseguimento  degli  obiettivi  legittimi  prefissati,  non   devono
superare i limiti di quanto risulti necessario  per  conseguire  tali
obiettivi   (qualora   esistano   diverse   alternative   sul   piano
regolamentare si deve ricorrere a  quella  meno  restrittiva)  e  gli
inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto  agli
scopi perseguiti (bilanciamento interno  o  proporzionalita'  strictu
sensu). (C-101/12, Schaible EU:C:2013:661, punto  29),  o  (C-528/13,
Leger, EU:C:2015:288, punto 58). 
    Orbene, alla luce del fatto che il Consorzio Energia Assindustria
Vicenza - Energindustria ha comprovato, con la produzione  di  idonea
documentazione, l'entita' degli oneri di rimborso ai cessionari della
addizionale e dei costi necessari di giustizia, ritiene  il  Collegio
arbitrale che tale rimborso: 
        vada  ad  inibire  (o  fortemente  limitare)   al   Consorzio
l'esercizio  ordinario  della  propria  attivita',  privandolo  delle
disponibilita' patrimoniali  e  finanziarie  necessarie  per  il  suo
funzionamento; 
        comporti per la societa' l'incapacita' di far  fronte  ad  un
rimborso generalizzato, al  quale  sarebbe  obbligato  a  seguito  di
sentenze di accertamento e di condanna; 
        comporti per la societa' il forte pericolo di  insorgenza  di
uno stato di insolvenza con il rischio della sua estinzione, 
    e che, conseguentemente, l'incidenza dell'onere imposto  comporti
la compressione e la conseguente estinzione del diritto  di  liberta'
di impresa, con conseguente violazione del  precetto  comunitario  di
cui  all'art.  52,  secondo  il  quale  «le  limitazioni  ...  devono
rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e liberta'». 
    Come in precedenza esposto,  l'entita'  del  debito  restitutorio
comporta che l'attivita' della societa' non sia  piu'  finalizzata  a
perseguire l'attivita' propria di impresa, che viene compromessa, per
un tempo al momento indefinito, dalla necessita' di  fronteggiare  un
debito restitutorio causato dal legislatore. 
    L'onere imposto, oltre a comprimere e non rispettare il contenuto
essenziale del diritto della liberta'  di  impresa,  viola  anche  il
requisito del principio di  proporzionalita'  richiesto  nel  secondo
periodo del primo comma dell'art. 52 della Carta; appare infatti  del
tutto evidente la sproporzione e la totale mancanza di  bilanciamento
degli  interessi  contrapposti   (l'utilita'   sociale   voluta   dal
legislatore con il diritto alla liberta' di  impresa  tutelato  dalla
Carta dei Diritti Fondamentali), con il sacrificio totale del diritto
a vantaggio di una mera utilita' a favore dell'Erario  (che  mantiene
per tempo irragionevole la disponibilita'  di  importi  incassati  in
forza di tributo  illegittimo),  bilanciamento  che  potrebbe  essere
perseguito diversamente (ad esempio assimilando l'ipotesi di indebito
comunitario all'ipotesi di legittimazione diretta del cessionario nei
confronti dell'Erario prevista nel caso di impossibilita' o eccessiva
difficolta' di conseguire  dal  fornitore  il  rimborso  dell'imposta
indebitamente pagata). 
    Va evidenziato che il Collegio arbitrale  ritiene  di  non  poter
disapplicare direttamente la norma nazionale in quanto: 
        la  giurisprudenza  comunitaria  esistente  non  fornisce   i
chiarimenti necessari per una chiara e pacifica disapplicazione della
norma nazionale; 
        il Collegio arbitrale non ha  la  possibilita'  di  adire  la
Corte di giustizia in via pregiudiziale e di collaborazione; 
        sussiste  nel  caso  in  esame  una   questione   di   doppia
pregiudizialita' (controversie che possono dare luogo a questioni  di
illegittimita' costituzionale  e,  simultaneamente,  a  questioni  di
compatibilita' con il diritto dell'Unione). 
Ulteriori profili di incostituzionalita'  in  ordine  alla  normativa
dedotta in controversia e suo presupposto. 
    La disposizione legislativa (art. 14, quarto comma,  del  decreto
legislativo 26 ottobre  1995,  n.  504)  che  il  Collegio  arbitrale
sospetta d'incostituzionalita' viola inoltre gli articoli 3, 24,  111
e 117, primo comma della Costituzione, sotto i seguenti profili. 
    Ad avviso del Collegio arbitrale  sussiste  ulteriore  violazione
dell'art. 3 della Costituzione perche' la norma censurata  (art.  14,
quatto comma, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504): 
        imponendo  al  fornitore  di  energia  elettrica  (che  abbia
esercitato  la  rivalsa  sul   consumatore   finale   dell'accisa   e
dell'addizionale) l'onere  (a  pena  della  perdita  del  diritto  al
rimborso dell'accisa e/o dell'addizionale provinciale all'accisa)  di
subire una pronuncia di condanna nel giudizio (ordinario o  arbitrale
rituale)  promosso  dal  cessionario  che  reclami  la   restituzione
dell'accisa o addizionale indebitamente traslata, 
        e,  inoltre,  gravando  il  cessionario  dell'onere  di   una
procedura giudiziale per  il  recupero  dell'indebito  in  quanto  il
fornitore non puo' effettuare spontaneamente il rimborso a pena della
perdita  del  diritto  al  recupero   dell'indebito   nei   confronti
dell'Agenzia delle  dogane,  non  rispetta  i  principi  generali  di
eguaglianza   e   ragionevolezza   (stabiliti   dall'art.   3   della
Costituzione),  senza  alcuna  ragionevole  giustificazione   e   per
molteplici profili e concretizza un inammissibile sbilanciamento  tra
i diritti di fornitore e cessionario, da una  parte,  e  le  esigenze
della finanza pubblica, dall'altra. 
    La violazione del principio di uguaglianza  sancito  dall'art.  3
della Costituzione  appare  evidente  ove  si  consideri  la  diversa
disciplina di rimborso in ambito accise rispetto ad  altre  procedure
di  rimborso   di   indebito   nei   confronti   dell'amministrazione
finanziaria;  ad  esempio,  sussiste  violazione  del  principio   di
uguaglianza: 
        1) tra cessionario in  ambito  di  accisa  e  di  addizionale
provinciale all'accisa (illecitamente  applicata)  e  cessionario  in
ambito di IVA (illecitamente applicata), posto che solo  nella  prima
ipotesi  il  cessionario  e'  gravato  dall'onere  di  una  procedura
giudiziale per il recupero dell'indebito in quanto il  fornitore  non
puo' effettuare spontaneamente il rimborso a pena della  perdita  del
diritto al recupero dell'indebito nei  confronti  dell'Agenzia  delle
dogane; 
        2) tra cessionario in  ambito  di  accisa  e  di  addizionale
provinciale all'accisa illecitamente applicata da fornitore  nei  cui
confronti l'ordinaria azione di ripetizione  di  indebito  si  riveli
impossibile o eccessivamente difficile e  cessionario  in  ambito  di
accisa o addizionale provinciale illecitamente applicata da fornitore
nei cui confronti l'ordinaria azione di ripetizione  di  indebito  si
riveli possibile o non eccessivamente difficile, posto che solo nella
prima ipotesi il cessionario e' gravato dall'onere di  una  procedura
giudiziale   di   accertamento   (e   condanna)   per   il   recupero
dell'indebito,  con  l'anticipazione  di  spese   (quanto   meno   il
contributo unificato e la marca di iscrizione a ruolo) e  dilatazione
dei tempi di recupero dell'indebito; 
        3) tra fornitore di energia elettrica (gravata di accisa e di
addizionale provinciale) e fornitore di beni e servizi  (assoggettati
ad IVA), in quanto solo nella prima ipotesi il fornitore  -  per  non
precludersi la possibilita' di recuperare l'accisa  (e  l'addizionale
provinciale) che e' tenuto a rimborsare  al  cessionario  -  si  vede
gravato da una procedura giudiziale, degli oneri della propria difesa
in giudizio, degli oneri di lite, dell'imposta di registrazione della
sentenza o del lodo di condanna; oneri tutti di cui non ha titolo  al
successivo rimborso e  che  portano  in  sostanza  alla  decurtazione
dell'importo che andra' a recuperare dall'Agenzia delle  dogane,  con
violazione dei principi di neutrahta' e di effettivita'. 
La disposizione legislativa  (art.  14,  quarto  comma,  del  decreto
legislativo 26 ottobre 1995,  n.  504),  che  il  Collegio  arbitrale
sospetta  d'incostituzionalita'  viola  inoltre   il   principio   di
ragionevolezza. 
    La  procedura  di  rimborso   dell'accisa   (e   dell'addizionale
provinciale), inasprita dal filtro dell'azione giudiziaria (l'art. 14
TUA, comma 4, considera l'azione di rimborso come un posterius  della
vittoriosa  azione  proposta  nei   confronti   del   fornitore   dal
consumatore definitivamente inciso dal peso economico  dell'imposta),
non puo' trovare giustificazione (se non meramente  apparente)  nella
«esigenza di evitare un ingiustificato arricchimento  in  favore  del
fornitore (Cassazione n. 19618 del 1°  ottobre  2015;  Cassazione  n.
11224 del 16 maggio 2007; Cassazione n. 10939 del  24  maggio  2005)»
(vedasi Cassazione sentenza n. 3233/2020) che  trattenga  l'accisa  e
l'addizionale provinciale rimborsategli o  nell'esigenza  di  evitare
comportamenti fraudolenti; va infatti considerato: 
        che la sentenza (o lodo reso all'esito di arbitrato  rituale)
definitiva di accertamento e condanna alla restituzione dell'indebito
ottenuta dal cessionario nei confronti  del  fornitore  ha  efficacia
solo inter partes e  non  vincola  in  alcun  modo  l'amministrazione
finanziaria, che per procedere al rimborso al fornitore dell'accisa o
addizionale  provinciale  indebitamente  versatele  dovra'   comunque
svolgere autonoma istruttoria  per  verificare  la  fondatezza  della
richiesta; 
        che, anche ai fini del rispetto dei principi  di  equivalenza
ed effettivita' del diritto al rimborso (vedasi CGUE 15  marzo  2007,
causa C-35/05, punto 37), il  legislatore  deve  scegliere  modalita'
procedurali idonee ad evitare inutili e dispendiose procedure, specie
ove possa evitare un ingiustificato  arricchimento  del  fornitore  o
condizionando il rimborso (oltre che alla  prova  del  credito)  alla
prova (ad esempio con bonifico «parlante» su conto  del  cessionario,
che  l'amministrazione  finanziaria  puo'  monitorare)  dell'avvenuta
rifusione  dell'indebito  al  cessionario  (momento  dal  quale   far
decorrere il  termine  di  decadenza  del  diritto  a  richiedere  il
rimborso), oppure prevedendo che il rimborso spettante  al  fornitore
vada accreditato sul conto indicato dal cessionario (pure  facilmente
verificabile dall'amministrazione finanziaria),  fermo  restando  che
soltanto il cedente ha titolo ad agire per il rimborso nei  confronti
dell'amministrazione; 
        che   (nel   caso   di   disponibilita'   alla    definizione
stragiudiziale  della  pretesa  del   cessionario)   e'   del   tutto
irragionevole  imporre  un'azione  giudiziaria  per   consentire   il
recupero di una addizionale illegittimamente disposta dal legislatore
e successivamente abrogata, con aggravio procedimentale ed  economico
inutilmente complesso. 
    E  la  previsione  del  citato   art.   14   non   puo'   trovare
giustificazione   neppure   nella   dichiarata   (vedasi    relazione
illustrativa del decreto legislativo n. 48/2010 di modifica dell'art.
14 del decreto legislativo 26  ottobre  1995,  n.  504)  esigenza  di
annullare gli effetti negativi derivanti agli  operatori  interessati
dalla coesistenza di due termini (l'uno, decennale, di prescrizione e
l'altro,  biennale,  di  decadenza)   concessi   rispettivamente   al
consumatore  finale  per  ottenere  la   restituzione   delle   somme
indebitamente  pagate  a  titolo  di  accisa  e   all'operatore   per
richiedere   il   rimborso   delle   medesime    somme    da    parte
dell'amministrazione  finanziaria;  fatte  salve   altre   soluzioni,
sarebbe stato  sufficiente  prevedere  che  il  diritto  al  rimborso
spettante all'operatore sorgesse  solo  al  momento  della  rifusione
dell'indebito al consumatore finale. 
    Sussiste inoltre, ad avviso del Collegio arbitrale la  violazione
dell'art. 24 della Costituzione, sotto  il  profilo  del  diritto  di
difesa, laddove l'art. 14 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n.
504,  imponendo  al  fornitore  di  energia  elettrica   (che   abbia
esercitato  la  rivalsa  sul   consumatore   finale   dell'accisa   e
dell'addizionale) l'onere  (a  pena  della  perdita  del  diritto  al
rimborso dell'addizionale provinciale dell'accisa) di una  resistenza
«suicida» in giudizio, con i relativi oneri processuali e di  difesa,
va  a  trasformare  il  diritto  di  difesa  in  un  obbligo  che  va
inevitabilmente a ledere l'effettivita' del diritto al rimborso (dati
i costi processuali ed accessori); non puo' sottacersi che il diritto
di difesa ricomprende necessariamente anche il diritto  di  scegliere
di evitare il contenzioso mediante un adempimento spontaneo che eviti
inutili oneri. 
    La disposizione legislativa (art. 14, quarto comma,  del  decreto
legislativo 26 ottobre  1995,  n.  504)  che  il  Collegio  arbitrale
sospetta d'incostituzionalita' si pone, altresi',  in  contrasto  con
gli articoli 111 e 117 della Costituzione, per  flagrante  violazione
del diritto fondamentale ad un «processo equo» ed  alla  effettivita'
della  tutela  giurisdizionale,  trasposto  in  termini  di   «giusto
processo»,  secondo  il  significato  a  tal  espressione  attribuito
dall'art. 111 della Costituzione; 
    ed invero: 
        non puo' infatti essere considerato «equo»  un  processo  non
necessario, inutilmente imposto sia al soggetto  passivo  dell'accisa
sia al consumatore finale, che ben potrebbero  definire  bonariamente
in  via  stragiudiziale  il  diritto  di  quest'ultimo  al   rimborso
dell'accisa (e/o  addizionale  all'accisa)  indebitamente  pagata  al
fornitore, e che porta all'unico risultato  pratico  di  spostare  in
avanti nel  tempo  il  momento  in  cui  l'Erario  dovra'  rimborsare
l'accisa (e/o addizionale all'accisa) indebitamente incassata, sempre
che i  costi  della  procedura  in  rapporto  all'effettivo  recupero
dell'accisa o addizionale non inducano il fornitore a  rinunciare  al
diritto al rimborso vantato nei confronti dell'Erario  e  a  definire
stragiudizialmente il  rapporto  con  il  cessionario  (con  evidente
arricchimento per l'Erario); 
        non puo' essere considerato «equo» un processo che  comunque,
in ragione degli oneri ad esso connessi, va a ledere l'effettivita' e
la piena tutela del diritto al rimborso (dell'accisa e/o  addizionale
all'accisa indebitamente applicata) o per  il  fornitore  di  energia
elettrica o per il consumatore; 
        non puo' essere considerato «equo» un processo che, stante la
sua inutilita', va ingiustamente a procrastinare nel tempo il diritto
al rimborso dell'indebito; 
        non puo' essere considerato «equo» un processo che, stante la
sua inutilita', va  ad  «ingolfare»  il  meccanismo  della  giustizia
civile. 
    Come detto, la condanna  definitiva  del  fornitore  al  rimborso
dell'indebita addizionale all'accisa (che non fa stato nei  confronti
del terzo amministrazione finanziaria) non apporta alcuna utilita' in
termini  di  tutela  dell'esigenza  di  evitare   un   ingiustificato
arricchimento in favore del fornitore (posto che pagamento  spontaneo
lo  impedirebbe)   ne'   dell'esigenza   di   evitare   comportamenti
fraudolenti  (dato  che  la  sentenza  definitiva  di  condanna   del
fornitore non elimina  l'istruttoria  da  parte  dell'amministrazione
finanziaria sulla fondatezza della richiesta di rimborso). 
    Ne', sotto diverso  profilo,  puo'  ritenersi  che  sia  solo  la
definitivita' della sentenza di condanna a dare certezza alla data di
decorrenza del dies a quo dal quale far decorrere il termine  per  la
richiesta all'Erario del rimborso da parte del fornitore  dell'accisa
e/o addizionale all'accisa indebitamente versata; il  fornitore  puo'
adeguatamente  documentare  l'avvenuto  rimborso   dell'indebito   al
consumatore mediante operazioni bancarie tracciate, puo'  fornire  al
riguardo dichiarazioni sostitutive dell'atto  di  notorieta'  e  puo'
subire  il  controllo  di  dette   operazioni   bancarie   da   parte
dell'amministrazione finanziaria. 
Rilevanza della questione di costituzionalita' dell'art.  14,  quarto
comma, del decreto legislativo 14 ottobre 1995, n. 504. 
    Ad avviso  del  Collegio  arbitrale,  sgombrato  il  campo  dalla
questione della  disapplicazione  dell'addizionale  provinciale  alle
accise sull'energia elettrica di cui  al  decreto-legge  n.  511  del
1988, art. 6, la rilevanza ex art. 23 della  legge  n.  87  del  1953
della prospettata questione di costituzionalita' discende da un  lato
dall'inesistenza  di  altre  eccezioni  preliminari  o  pregiudiziali
sollevate dalle parti o rilevabili d'ufficio  che  siano  preordinate
sotto il profilo logico rispetto alla questione di  costituzionalita'
e, dall'altro, dalla diretta applicabilita' al caso  in  esame  della
norma la cui costituzionalita' e' messa in discussione. 
    La norma che disciplina il diritto  al  rimborso,  e  di  cui  il
Collegio  arbitrale  ha  il  dubbio  di  lesione  costituzionale,  e'
contenuta  all'attuale  quarto  comma  dell'art.   14   del   decreto
legislativo n. 504/1995, secondo cui:  «Qualora,  al  termine  di  un
procedimento giurisdizionale,  il  soggetto  obbligato  al  pagamento
dell'accisa  sia  condannato  alla  restituzione  a  terzi  di  somme
indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell'accisa, il  rimborso
e' richiesto dal predetto soggetto obbligato, a  pena  di  decadenza,
entro novanta giorni dal passaggio in giudicato  della  sentenza  che
impone  la  restituzione  delle  somme»  (In  assenza  di   ulteriori
precisazioni, il richiamo all'art. 14 decreto legislativo n. 504/1995
contenuto nella presente ordinanza si deve intendersi  riferito  alla
disposizione sopra richiamata). 
    Va rilevato al riguardo: 
        che la societa' Officine Meccaniche ANI S.p.a.  espressamente
dichiara  che  l'azionato  «diritto  al  rimborso   e'   disciplinato
dall'art.  14  legge  n.  504/1995»  (pagina  6  della   memoria   di
costituzione); 
        che   il   Consorzio   Energia   Assindustria    Vicenza    -
Energindustria eccepisce che l'art. 14  del  decreto  legislativo  n.
504/1995 deve essere disapplicato  in  quanto  in  contrasto  con  il
diritto comunitario (articoli 16 e 52, primo comma, della  Carta  dei
Diritti Fondamentali dell'Unione europea) ed  in  contrasto  con  gli
articoli 3, 41 e 117 della Costituzione; 
        che l'art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995  disciplina
proprio  il  rapporto  giuridico  del  rimborso  di  una  accisa   (o
addizionale provinciale) indebitamente corrisposta; 
        che l'art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995  impone  al
cliente che intende agire per il rimborso  dell'accisa  indebitamente
versata di agire in via giurisdizionale  nei  confronti  del  proprio
fornitore; 
        che l'art. 14 del  decreto  legislativo  n.  504/1995  impone
l'assoggettamento del venditore all'obbligo di corrispondere le somme
pagate indebitamente dai clienti a titolo di addizionale all'accisa; 
        che l'art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 prevede  la
possibilita' per il  cliente  di  conseguire  il  rimborso  anche  in
presenza  di  una  sentenza  non  definitiva,   ma   provvisoriamente
esecutiva; mentre il fornitore di energia puo' conseguire il rimborso
dall'erario delle somme pagate al cliente solamente  in  presenza  di
una sentenza definitiva di condanna; 
        che l'onere imposto dall art. 14 del decreto  legislativo  n.
504/1995 al fornitore di energia elettrica (che voglia conservare  il
diritto  al  rimborso   dell'addizionale   all'accisa   indebitamente
versata) di subire una condanna alla restituzione dell'addizionale al
cessionario si ripercuote sull'addebito al fornitore degli  oneri  di
lite, con evidente violazione dell'effettivita' del  suo  diritto  al
rimborso (che verrebbe falcidiato dagli oneri stessi), violazione che
si verificherebbe invece  in  capo  al  cessionario  nell'ipotesi  di
compensazione di detti oneri. 
    Ad avviso del Collegio arbitrale la  norma  di  cui  all'art.  14
decreto legislativo n. 504/1995  trova  necessaria  applicazione  nel
giudizio in corso, ponendosi in un rapporto di rigorosa e  necessaria
strumentalita' tra  la  soluzione  della  questione  sollevata  e  il
progredire verso la decisione della controversia, che non puo' essere
risolta senza  l'applicazione  della  norma,  oggetto  di  dubbio  di
costituzionalita'. 
    Il  giudizio  arbitrale   non   puo'   quindi   essere   definito
indipendentemente dall'applicazione  della  norma  invocata  e  dalla
conseguente risoluzione delle prospettate questioni  di  legittimita'
costituzionale, si' che appare evidente la sussistenza del  requisito
pregiudiziale della rilevanza. 
Impossibilita' di un'interpretazione costituzionalmente orientata. 
    Ritiene il Collegio arbitrale che vada risolta con esito negativo
la verifica  di  praticabilita'  di  una  esegesi  costituzionalmente
orientata dalla normativa denunciata, per l'ostacolo che trova  nella
lettera della normativa stessa, che prevede: 
        l'assoggettamento del fornitore  di  energia  all'obbligo  di
rimborsare le somme pagate indebitamente  dai  clienti  a  titolo  di
addizionale all'accisa; 
        l'obbligo per il cliente di ripetere le somme  esclusivamente
nei confronti del fornitore di energia; 
        che per  poter  richiedere  il  rimborso  all'amministrazione
finanziaria, il  soggetto  obbligato  al  pagamento  dell'accisa  sia
previamente  condannato  alla   restituzione   a   terzi   di   somme
indebitamente  percepite  a  titolo   di   rivalsa   dell'accisa   (o
addizionale provinciale). 
    La chiara disposizione della norma, non consente di procedere  ad
una interpretazione adeguatrice della disposizione censurata, diversa
da  quanto  traspare  dalla  lettera  della  norma  e  dalla   chiara
interpretazione resa dalla Corte di cassazione con numerose  sentenze
sul punto, successive alla decisione n.  27101/2019  del  23  ottobre
2019. 
Considerazioni conclusive 
    Ad avviso del Collegio arbitrale appaiono dunque rilevanti e  non
manifestamente  infondate  in   riferimento   agli   articoli   della
Costituzione n. 3, 24, 41, 111, primo e secondo comma, e  117,  primo
comma, anche in via mediata per violazione degli  articoli  16  e  52
della Carta Fondamentale dei Diritti dell'Unione  europea,  le  sopra
specificate questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 14 del
decreto legislativo 26 ottobre  1995,  n.  504  nella  parte  in  cui
prevede che: «Qualora, al termine di un procedimento giurisdizionale,
il soggetto obbligato al pagamento dell'accisa  sia  condannato  alla
restituzione a terzi di somme indebitamente  percepite  a  titolo  di
rivalsa dell'accisa, il rimborso e' richiesto dal  predetto  soggetto
obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in
giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme». 

(1) «Questa Corte ritiene che, laddove una legge sia oggetto di dubbi
    di illegittimita' tanto in riferimento ai diritti protetti  dalla
    Costituzione italiana, quanto in  relazione  a  quelli  garantiti
    dalla Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  in
    ambito  di  rilevanza  comunitaria,  debba  essere  sollevata  la
    questione di legittimita' costituzionale, fatto salvo il ricorso,
    al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o  di
    invalidita' del diritto dell'Unione, ai sensi dell'art.  267  del
    TFUE.» (Corte Costituzionale, sentenza n. 269/2017). 

(2) 3.1.- «Questa Corte ha  ribadito  anche  di  recente  la  propria
    competenza a sindacare gli eventuali profili di  contrasto  delle
    disposizioni nazionali  con  i  principi  enunciati  dalla  Carta
    (ordinanza n. 117 del 2019, punto 2. del Considerato in diritto).
    Quando e' lo stesso giudice rimettente a sollevare una  questione
    di legittimita' costituzionale che investe anche le  norme  della
    Carta,  questa  Corte  non  puo'  esimersi  dal  valutare  se  la
    disposizione  censurata  infranga,  in  pari  tempo,  i  principi
    costituzionali e le garanzie sancite dalla Carta (sentenza n.  63
    del 2019, punto 4.3. del Considerato  in  diritto).  L'integrarsi
    delle garanzie della Costituzione con quelle sancite dalla  Carta
    determina,  infatti,  "un  concorso  di  rimedi  giurisdizionali,
    arricchisce gli strumenti di tutela dei diritti  fondamentali  e,
    per definizione, esclude ogni preclusione" (sentenza  n.  20  del
    2019,  punto   2.3.   del   Considerato   in   diritto)»   (Corte
    Costituzionale, sentenza n. 182 del 30 luglio 2020) 

(3) «Non e' configurabile una  lesione  della  liberta'  d'iniziativa
    economica allorche' l'apposizione di limiti di ordine generale al
    suo esercizio  corrisponda  all'utilita'  sociale,  come  sancito
    dall'art. 41,  secondo  comma,  Cost.,  purche',  per  un  verso,
    l'individuazione di quest'ultima non  appaia  arbitraria  e,  per
    altro verso, gli interventi del  legislatore  non  la  perseguano
    mediante misure palesemente incongrue (ex plurimis,  sentenze  n.
    56 del 2015, n. 247 e n. 152 del 2010 e n.  167  del  2009)»  (ex
    plurimis, sentenza n. 203  del  2016).  (Corte  Costituzionale  7
    maggio 2020 n. 85, e sentenze richiamate). 

(4) Vi e' lesione del  principio  costituzionale  di  liberta'  della
    iniziativa economica allorquando il limite apposto  sia  «atto  a
    condizionare le scelte imprenditoriali in grado cosi' elevato  da
    indurre   la   funzionalizzazione    dell'attivita'    economica,
    sacrificandone le opzioni  di  fondo,  restringendone  in  rigidi
    confini lo spazio e l'oggetto delle stesse scelte  organizzative»
    (Corte  Costituzionale  sentenza  n.  47/2018;  n.  56/2015;   n.
    388/1992; n. 548/ 1990). 

(5) Sentenza del 16 luglio 2020, C-686/18, Adusbef e altri, punto 82;
    Sentenza del 12 luglio 2018, C-540/16, Spika e altri,  punto  34;
    Sentenza del 21 dicembre 2016, AGET Iralklis, C-201/15, punto 67;
    Sentenza del 17  ottobre  2013,  C-101/12,  Schaible,  punto  25;
    Sentenza del 22 gennaio 2013, C-283/11 Sky Österreich, punto 42. 

(6) Sentenza del 30 giugno 2016, C-134/15, Lidl GmbH & Co. KG,  punto
    27; Sentenza del 27 marzo 2014,  C-314/12,  UPC  Telekabel  Wien,
    punto 49. 

(7) Sentenza del 24 settembre 2020, C-223/19, Ys, punto 88;  Sentenza
    del 16 luglio 2020, C-686/18, Adusbef e altri, punto 86; Sentenza
    26 ottobre 2017, C-534/16, BB  construct  s.  r.  o.,  punto  36;
    Sentenza del 30 giugno 2016, C-134/15, Lidl GmbH & Co. KG,  punto
    30; Sentenza del 4 maggio 2016, C-477/14, Pillbox  38,  punti  da
    157 a 160, Sentenza del 17 ottobre 2013 C-101/12, Schaible, punto
    28; Sentenza del 22 gennaio 2013, C-283/11, Sky Österreich, punti
    45 e 46.